AUSCHWITZ, per non dimenticare...
- Michele Racca
- 26 gen
- Tempo di lettura: 6 min
Localizzato nella parte di Polonia occupata dai Tedeschi, Auschwitz era costituito da tre campi, di cui uno adibito a centro di sterminio. I tre campi furono aperti nel corso di circa due anni, tra il 1940 e il 1942. Auschwitz fu chiuso nel gennaio del 1945 dopo la liberazione da parte dell’esercito sovietico. Più di un milione di persone morì ad Auschwitz, la maggior parte delle quali erano Ebrei. Coloro che non furono mandati immediatamente alle camere a gas, al loro arrivo nel campo, furono impiegati nei lavori forzati. Il complesso di Auschwitz viene spesso chiamato, erroneamente, Auschwitz-Birkenau; ma Birkenau, o Auschwitz II, era solo una delle sezioni dell’intero complesso, quella adibita a centro di sterminio, dove si trovavano le camere a gas.

Collocato a Oswiecim, nei pressi di Cracovia, in Polonia, Auschwitz è diventato il simbolo della Shoah. Uno dei motivi principali che porto’ i Nazisti a costruire il campo proprio in quel luogo è dovuto alla sua posizione geografica, all’incrocio di strade principali e di linee ferroviarie. Prima della seconda guerra mondiale gli ebrei, spesso artigiani e mercanti, costituivano circa la metà della popolazione di quella piccola città. Dopo la Shoah Oswiecim sarà per sempre messa in ombra da Auschwitz-Birkeau, il più grande campo di concentramento nazista e centro di sterminio.
Auschwitz è oggi il simbolo della Shoah non solo per le sue dimensioni, ma anche perché gli ebrei vi furono raccolti da ogni parte d’Europa, per poi essere selezionati e poi sistematicamente uccisi nelle camere a gas. Vi sono oggi numerose testimonianze di sopravvissuti che ci aiutano a capire il funzionamento del campo.
Quando diciamo o scriviamo “Auschwitz” intendiamo un centro di tortura, di terrore inconcepibile, l’essenza dell’Inferno e dell’orrore. Auschwitz fu un gigantesco complesso costruito da esseri umani per uccidere esseri umani nella maniera più crudelmente industriale.
Auschwitz era circondato da un recinto di filo spinato elettrificato, sorvegliato da SS armate di mitragliatrici e fucili; alcuni sopravvissuti hanno affermato che non solo il recinto tremava e ululava ma anche la terra torturata si lamentava con le voci delle vittime.
Nel Marzo 1942 cominciarono ad arrivare, quotidianamente, treni carichi di Ebrei da ogniparte d’Europa. A volte arrivavano più treni al giorno, ognuno carico di migliaia di esseri umani provenienti dai ghetti dell’Europa dell’Est e dai paesi del Sud e dell’Ovest Europeo.

Circa 1.300.000 / 1.500.000 persone sono state uccise nella camere a gas di Auschwitz, il 90% delle quali erano Ebrei. L’altro 10% è costituito da Polacchi, prigionieri di guerra Sovietici, Zingari Sinti, Testimoni di Geova , omosessuali e altri “indesiderabili”. La stragrande maggioranza delle vittime, che proveniva da ogni parte d’Europa , compresi il Belgio, la Francia, l’Ungheria, l’Italia, la Grecia, l’Olanda, non conosceva la sua destinazione ed il suo destino . Erano stati trasportati come animali in carri bestiame ed erano arrivati al campo già in fin di vita. Molti di loro non entrarono realmente nel campo ma lo attraversarono soltanto andando verso le camere a gas.

Nella sua testimonianza post bellica, Olga Albogen, una sopravvissuta alla Shoah, racconta così l’arrivo della sua famiglia ad Auschwitz: “Non abbiamo neppure salutato mia madre ed i più piccoli. Avevamo ancora un po’ di cibo portato da casa e l’ho dato a mia madre dicendo :”Ci vediamo stasera” e non l’ho più rivista. C’era un tale caos ad Auschwitz ..Così tanta gente.. Quando svuotavano i vagoni, migliaia e migliaia di persone e i treni che venivano da ogni parte d’Europa, non solo dall’Ungheria. Era incredibile”.
Spesso arrivavano ad Auschwitz intere famiglie e immediatamente venivano brutalmente divise; gli Ebrei venivano tirati fuori dai carri bestiame senza le loro cose, forzati a formare due file: uomini da una parte e donne / bambini dall’altra. Il personale medico, del quale faceva parte il tristemente famoso dottor Mengele, effettuava la selezione tra quelle file, mandando molte vittime alle camere a gas, dove normalmente venivano uccise e e poi bruciate nei forni crematori lo stesso giorno. Mengele ed altri suoi colleghi conducevano degli “esperimenti medici” sui prigionieri del campo.
La minoranza disumanizzata si trasformava in prigionieri registrati, con teste rasate ed uniformi a righe; gli ebrei scelti per il lavoro schiavistico venivano privati di tutto, inclusi alcune delle caratteristiche fisiche che distinguevano gli uomini dalle donne. Le identità personali dei prigionieri venivano eliminate, e sostituite da un numero tatuato sulle loro braccia.

Come hanno potuto, i prigionieri, sopportare queste terribili condizioni nella vita quotidiana? Jack Oran, un sopravvissuto, racconta: “Ognuno lavorava duramente, veniva picchiato.. e tornava al campo- soltanto lo sfinimento ti spingeva verso la branda per crollare e dormire tutta la notte, per avere abbastanza forza per ricominciare l’indomani…la mattina il 60% delle persone non si alzava. L’altro 40% frugava nelle tasche dei morti alla ricerca di un pezzo di pane. Le condizioni igieniche erano terribili in quel periodo; mi ricordo che avevo frugato il corpo di un morto e avevo trovato un pezzo di pane: era pieno di pidocchi, ma tu li scrollavi via e te lo ficcavi in bocca. Noi tutti eravamo pieni di pidocchi. Fare una doccia non era una opzione: Al mattino di usciva, si camminava verso la baracca dove si trovava l’acqua, la si faceva scorrere.. non si voleva camminare nel fango perché nel fango si sarebbe potuta perdere una scarpa. Saresti stato condannato in ogni caso. Queste erano le condizioni”.

Sebbene i nazisti terrorizzassero e disumanizzassero i prigionieri ad Auschwitz, come in ogni altro campo di concentramento sotto il loro controllo, molti ebrei tentarono di salvaguardare la loro dignità e la propria umanità.
Anche in condizioni insopportabili alcuni chiedevano sostegno, cooperazione ed amicizia; ad esempio Ovadiah Baruch, un giovane ebreo prigioniero deportato ad Auschwitz dalla Grecia, racconta che il sostegno dei suoi amici lo ha aiutato a sopravvivere. Lui afferma: “Durante le marce della morte (da Auschiwitz) eravamo in tre amici, Yom Tov Eli, Michael ed io. Eravamo uniti cuore e anima. Durante tutta la prigionia ad Auschwitz siamo stati in stretto contatto… Durante le marce della morte, Michael prese la dissenteria, era così debole che poteva a malapena camminare e ci pregava di proseguire senza di lui. Yom Tov Eli ed io ripetevamo che lo avremmo trasportato e sostenuto come meglio avremmo potuto”

Nel gennaio 1945, quasi 5 anni dopo che il campo era diventato operativo, le truppe Sovietiche stavano avanzando verso Auschwitz. I Nazisti, disperati poiche’ costretti alla ritirata, constrinsero molti prigionieri lasciare il campo, iniziando cosi’ la marcia della morte verso Ovest, in pieno inverno. Molti di loro morirono per strada. I soldati Sovietici liberarono Auschwitz il 27 Gennaio, trovandovi circa 7650 prigionieri, vivi a malapena.
Il soldato Zinovil Tolkatchev (1903-1977) era artista ufficiale dell’Armata Rossa e raggiunse le forze che liberarono Auschwitz all’inizio del 1945. Tolkatchev era spinto dall’urgenza di rappresentare quello che aveva visto. In mancanza di carta da disegno egli entrò nell’ex posto di comando e prese della cancelleria con grosse scritte nere ed inquietanti: Kommandantur Konzentrantionslager, IG.Farbenindustrie Aktiengesellschaft, Der Oberprasident der Provinz Oberschlesien e cominciò a disegnare. Ironicamente, su quegli stessi pezzi di carta solo pochi giorni prima venivano scritti gli ordini di sterminio.
Accanto agli schizzi Tolkatchev aggiungeva poche righe di testimonianza dei pochi sopravvissuti in grado di pronunciare parole. Egli annotò anche, ripetutamente :”Ricordare, non dimenticare”.
Bela Braver, una sopravvissuta polacca che era stato deportata ad Auschwitz, fu liberata dall’Armata Rossa Sovietica in Cecoslovacchia nel 1945; ella scrive: “La guardia del campo che venne ad aprire le porte ci disse: “Siete liberi, potete andarvene.” Tutte le guardie con i cani che normalmente stavano ad ogni angolo erano scomparse. Tutto era finito, come non fosse successo. Era un miracolo! I Russi entrarono e noi eravamo in tali condizioni che nessuno si muoveva, nessuno se ne andò. Noi non sorridevamo, non eravamo felici, eravamo apatici e i Russi arrivarono. Arrivò un generale, era ebreo. Lui ci disse che era felice, quello era il primo campo in cui trovava gente viva. Si mise a piangere ma noi non piangemmo. Lui pianse, noi no.
Eva Braun, una sopravvissuta Slovacca che era stata deportata ad Auschwitz , fu liberata nel 1945 a Salzwedel dell’armata Americana. Lei ricorda: “Mentre ero euforica per la libertà, avevo anche una tremenda paura. Chi avrei trovato? Noi eravamo sopravvissuti ma adesso dovevamo tornare alla civiltà. Come avremmo reagito in un mondo normale? Eravamo due ragazzine senza nulla. Chi si sarebbe occupato di noi? Cosa avremmo fatto? C’era euforia ma anche un sentimento ambivalente. Eravamo spaventate dal futuro.”
Si stima che le SS e le forze di polizia abbiano deportato almeno un milione e trecentomila persone nel complesso di Auschwitz, tra il 1940 e il 1945. Di questi, i responsabili del campo ne uccisero un milione e centomila. Per non dimenticare...

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